L’AUTENTICITÀ FA STORIA
LA VIA PIÙ GIUSTA E UTILE È QUELLA DELL’AUTENTICITÀ
Quattrocento anni di storia agricola, in cantina bottiglie secolari tuttora apprezzabili. La famiglia Valentini di Loreto Aprutino, area vestina della provincia di Pescara, ha un nome che, nel panorama enoico internazionale, pesa fra le grandi etichette del mondo. Con Edoardo Valentini, maestro vignaiolo che ha reso iconiche le proprie bottiglie, l’azienda ha trovato la via della modernità a partire dagli anni ’50, fra risistemazione dei vigneti aziendali e stile artigianale di un vino identitario, sempre riconoscibile, spesso indimenticabile. Dalla cantina di produzione, prossima ai vigneti fra le colline lauretane, all’antica cantina di elevazione e invecchiamento, sotto al palazzo gentilizio sulla sommità di via del Baio, cuore dello storico borgo-gioiello di Loreto, di padre in figlio il racconto dei Valentini corre lungo stanze e saloni pieni di memorie, custodi di una sedimentazione di affetti e storie, personali e familiari, di gentiluomini e professionisti che intrecciano costantemente nei secoli le proprie vite alle proprie viti.

Francesco Paolo Valentini.
Da Loreto al mondo, con Gabriele, nel segno di Edoardo
Oggi Francesco Paolo con la moglie Elèna e loro figlio Gabriele, garantisce continuità ad una delle più blasonate realtà vitivinicole italiane. Un’azienda che ha fatto conoscere il nome della nostra regione nel mondo, a partire dal Trebbiano d’Abruzzo, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario dell’istituzione della Doc, anche per merito di Edoardo Valentini. “Il Trebbiano rappresenta tante cose personali e aziendali per noi”, spiegano Francesco e Gabriele Valentini, “è il nostro vino di punta, un bianco che invecchia nel tempo, testimone del nostro lavoro, di questo territorio. Infatti è una anomalia che un bianco possa reggere così tanto nel tempo, come dimostrano tante vecchie e vecchissime annate, e non c’entra la mano dell’uomo, che è un tramite impegnato a trovare la giusta armonia fra vigna e cantina, il ruolo più importante lo giocano questa varietà di Trebbiano abruzzese e la terra in cui vive, un vitigno autoctono che ha assunto in questo territorio caratteristiche morfologiche e organolettiche particolari. E poi in una realtà come la nostra l’aspetto lavorativo e familiare si mischiano, diventano un tutt’uno, quindi il Trebbiano, per noi, arriva a rappresentare fin dall’Ottocento una costante del vivere quotidiano. Anche perché rispetto al Montepulciano e al Cerasuolo è un vino che produciamo ogni anno, da sempre, una sentinella dell’andamento climatico, fondamentale per chi si occupa di agricoltura, un indicatore delle diverse sfumature delle annate”.
Il cambiamento climatico è un tema su cui vi siete soffermati spesso. Quanto conta, quanto incide per l’Abruzzo del vino?
BISOGNA IMPEGNARSI
AFFINCHÉ L’ABRUZZO
SIA CONOSCIUTO
SEMPRE DI PIÙ

“È un fattore che rende sempre più complicata una viticoltura di tipo artigianale. C’è un paradosso in effetti. Trent’anni fa, quando i cambiamenti climatici non erano evidenti, non si producevano vini di alta gamma, ora invece che è molto più difficile in questo senso, si producono vini di alto spessore. Il presente dal punto di vista ampelografico, enologico, non è per nulla semplice da gestire, fra fitopatologie, nuove specie di insetti sempre più dannosi, difficoltà nelle maturazioni fenoliche e anticipi anomali delle maturazioni zuccherine. Insomma il futuro sarà duro ma non impossibile, perché l’aspetto climatico aumenta tutta una serie di variabili incontrollabili e perché, questo va ricordato, le criticità della burocrazia legate alla produzione vitivinicola rischiano di assorbire sempre di più l’attenzione del produttore, distogliendola magari dal prodotto e dalle sue urgenze, a causa di tutte quelle incombenze collaterali che complicano qualcosa di semplice. Nonostante tutto però questo lavoro resta una sfida straordinaria”.
Come è cambiato negli ultimi anni e com’è oggi il mestiere del produttore di vino in Abruzzo?
“Negli ultimi due decenni l’Abruzzo vitivinicolo ha vissuto un’ascesa eccezionale, la qualità è aumentata notevolmente, insieme alla Sicilia è la regione che esprime sempre più e sempre meglio il potenziale varietale ed enologico del proprio territorio. Il merito è delle nuove generazioni. I giovani produttori hanno una forma mentis differente, non vedono più in prima battuta, come una volta, l’aspetto commerciale, economico, cercano prima di tutto la tipicità, l’originalità del prodotto. Pensiamo a tante aziende di recente formazione che hanno dato e stanno dando grande lustro alla nostra regione. Inoltre c’è maggiore consapevolezza e sensibilità fra i giovani anche perché è diventata una necessità in questo lavoro. Prima il mercato del vino era in crescita e ancora da esplorare, adesso invece le nuove realtà devono affermarsi in un mercato enorme pieno di concorrenza e varietà. La via che appare più giusta e utile è perciò quella della autenticità, della qualità, della tradizione, proporre prodotti non riproducibili altrove. Esistono diverse aziende, anche recenti, che hanno dato e stanno dando grande lustro alla nostra regione”.
Cosa c’è da migliorare, allora, per aumentare l’interesse sui vini abruzzesi in Italia e all’estero?
“L’Abruzzo è una regione davvero poco conosciuta fuori dall’Italia, resta una regione a est di Roma, mentre se si citano Toscana o Piemonte si sa esattamente di cosa si parla. Un limite è questa tendenza alla frammentazione che si percepisce spesso qui da noi, quando ci sarebbe bisogno anzitutto di spingere la conoscenza della regione in quanto tale, dell’Abruzzo prima e poi senza dubbio delle diverse zone di produzione regionali. Bisogna impegnarsi, tutti insieme, affinché l’Abruzzo sia conosciuto sempre di più. E per fare ciò si deve superare sicuramente anche quella tendenza campanilistica all’autopromozione della singola impresa. Non bisogna portare in giro per il mondo la propria cantina, la propria etichetta, il proprio marchio, slegati dal territorio che li ha fatti nascere. C’è bisogno di parlare dell’insieme, del vitigno, della zona, dei colleghi, si deve mostrare al cliente, ai media, l’ecosistema in cui quel vino è nato. Continuiamo a subire il limite di non saper fare squadra. Il problema infatti non è che l’Abruzzo non venga considerato nei contesti internazionali del vino. È che siamo noi, ancora, a non fare abbastanza per essere considerati”.
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